Domenica 16 ottobre 2012 siamo scesi in Luftloch e di quest’uscita
abbiamo lasciato una breve relazione in uno specifico post.
Detta relazione finiva, però, con una frase abbastanza sibillina che
diceva: “…i nostri occhi increduli hanno avuto bisogno di qualche minuto per
abituarsi e accettare lo spettacolo unico della natura cui stavamo
assistendo…”. Si precisava, infine, che quanto prima sarebbero state pubblicate
le immagini dello strano fenomeno che abbiamo osservato.
Bene, è giunto finalmente il momento di svelare cosa abbiamo visto quel
giorno, sul fondo della Luftloch. Non l’avevamo ancora fatto semplicemente
perché non eravamo sicuri di riuscire a evidenziare in modo appropriato le forti
sensazioni provate che, trasportate dal profondo della grotta allo schermo di
un computer, potevano risultare ridotte, distorte, se non addirittura travisate.
Riprendiamo quindi il discorso facendo una breve introduzione.
Tutti sanno che, in ambiente carsico, l’acqua che cade in superficie
scende lentamente in profondità attraverso le fessure della roccia. Queste
fessure possono essere di dimensioni ridotte o possono anche essersi allargate
nel corso dei millenni, fino a diventare quelle che noi chiamiamo grotte.
L’abisso denominato Luftloch è una cavità che presenta varie
caratteristiche: come ogni altra grotta partecipa in qualche modo a trasportare
in profondità l’acqua piovana che cade in superficie, ma risente anche delle
piene del fiume Timavo sotterraneo, che quando alza il suo livello provoca
forti correnti d’aria in uscita dal suo ingresso.
Si tratta di fenomeni che di norma convivono e che, nella stragrande
maggioranza dei casi, non interferiscono l’uno con l’altro.
Vi possono essere, però, alcune sporadiche circostanze che, a causa
della concomitanza di più fattori, producono effetti strabilianti.
Domenica 16 ottobre 2012 si è presentata una di queste strane eccezioni.
La situazione era la seguente: grandi piogge in territorio sloveno avevano
portato a una piena del fiume Timavo. L’acqua si era riversata nelle gallerie
che scorrono sotto il Carso causando un rapido innalzamento del
livello delle acque sotterranee. Questo innalzamento aveva portato, in alcune
cavità che noi chiamiamo “timaviche”, alla creazione di forti correnti d’aria
in uscita dalle stesse. Flussi di una certa entità (anche se non eccezionali) erano
riscontrabili all’abisso di Trebiciano, alla Grotta di Lazzaro Jerko ed anche
alla Luftloch che, pur non avendo ancora raggiunto il Timavo (nonostante più di
dodici anni di scavi) presenta un collegamento certo con il fiume sotterraneo.
Nella stessa giornata era riscontrabile anche una notevole piovosità
localizzata su tutto il Carso, con una grande quantità d’acqua che scendeva
dalla superficie verso il basso, che nella Luftloch si concretizzava in un bel
torrentello che seguiva i pozzi e i cunicoli fino all’attuale fondo (punto in
cui si continua a scavare).
I passaggi in cui può infilarsi l’aria in pressione possono essere più
di uno, così come quelli attraverso i quali l’acqua scende in profondità, ma
all’interno di questa grotta, alla quota di circa 245 m di profondità, si vede
che il passaggio è solamente uno.
L’acqua del torrentello, dopo aver disceso pozzi e percorso cunicoli,
si gettava nel pozzetto finale di tre metri, da noi scavato allargando una
piccolissima fessura. L’aria sospinta dalla piena, saliva verso la superficie
infilandosi anch’essa nella stessa stretta spaccatura.
Era questo il punto fatidico dell’incontro dei due elementi: acqua in
discesa e aria in salita.
Detto così sembra una cosa quasi banale, ma bisogna immaginare cosa si
è presentato, in realtà, agli occhi dei due esploratori (Marco Restaino e
Massimiliano Blocher): il pozzetto quasi completamente riempito d’acqua (più di
due metri) con alla sua base una potente fuoriuscita d’aria in pressione.
La prima impressione è stata quella di un grande “idromassaggio” dove
l’acqua era sconvolta dalla furia dell’aria. Poi le immagini si sono rincorse
pensando a una buffa “lavatrice carsica”, a un “autolavaggio speleologico”… In
realtà si trattava di un grande fenomeno naturale, un delicato equilibrio fra
acqua e aria, forse unico nel suo genere e comunque veramente raro. Il forte rumore
dell’acqua che gorgogliava, le tante bolle, i sibili dell’aria, gli schizzi, i brombolii
che si potevano sentire in quel momento, quasi la vibrazione di quelle strette
pareti e la sensazione della grande forza espressa dalla natura, rimarranno per
sempre scolpiti nel ricordo dei due esploratori.
Alla fine di questa relazione abbiamo inserito un filmato che, dopo
aver vagliato tutto il materiale disponibile, è quello che rende meglio quanto
vissuto in quei momenti. Ovviamente bisogna pensare di essere a 245 m di
profondità, in un cunicolo alla base di pozzi battuti da un torrente, bisogna
immaginare il rumore, l’aria intrisa di goccioline d’acqua, la grande energia
espressa da quello che possiamo chiamare uno “scontro fra elementi”, e forse solo
così sarà possibile percepire questo fenomeno nella sua completezza.
Non sapevamo quale nome dare a quello che abbiamo visto e quindi
abbiamo deciso per una denominazione di fantasia. In onore al primo esploratore
che l’ha osservato, abbiamo deciso per “effetto blocher”. Parola dal suono
forte e adatta a ciò che vuole indicare.
In seguito abbiamo pensato a quelle segnalazioni che, nel corso del 19°
secolo, avevano riguardato alcuni punti del Carso. I “villici” locali
affermavano che, in particolari circostanze, l’acqua del Timavo sotterraneo
usciva addirittura all’esterno sul fondo di alcune doline, già conosciute per
le correnti d’aria che si sviluppavano in occasione delle piene. In realtà non
c’era nessuna risalita d’acqua (il dislivello era troppo grande) ma la pioggia,
invece di infiltrarsi nel terreno, veniva ricacciata in superficie dalla violenza
dell’aria in pressione. Anche in quelle occasioni, quindi, si manifestava il
particolare “effetto blocher”, non nelle
profondità di una grotta come lo abbiamo osservato noi, ma addirittura in
superficie.